La Processionaria del Pino

La Processionaria del pino, un pericoloso parassita per l’uomo e per gli animali che si annida sui pini

In Italia dal 1998 la lotta a questo insetto è obbligatoria nelle aree ritenute a rischio infestazione (cfr. Decreto Ministeriale 17.04.1998, poi abrogato e sostituito con D.M. 30.10.2007, pubbl. in G.U. 16 febbraio 2008, n. 40.).

Il parassita Thaumetopoea pityocampa, chiamato più comunemente processionaria del pino è un lepidottero appartenente alla famiglia Notodontidae, diffuso in Eurasia e Nordafrica ma che recentemente sta prendendo piede anche in Italia. Questo lepidottero a differenza di altri è altamente distruttivo per le pinete poiché le priva del fogliame, mettendo a rischio il loro ciclo vitale. Inoltre, durante lo stadio larvale questo insetto presenta una peluria che risulta essere particolarmente urticante per molti animali, compreso l’uomo.

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Le larve di questo insetto si spostano quasi sempre in fila indiana formando una sorta di “processione” (da cui prende appunto il nome) e si compattano quando raggiungono il loro nido bianco di seta che viene usato più volte per deporre le uova. Il parassita attacca tutte le specie del genere Pinus ma mostra una certa preferenza per il Pinus nigra e Pinus sylvestris.
È un insetto diffuso nelle regioni temperate del bacino del Mediterraneo (Europa meridionale, Medio Oriente e Africa settentrionale), particolarmente lungo le alberature stradali e sulle piante marginali delle formazioni boscose. È considerato come uno dei principali fattori limitanti per lo sviluppo e la sopravvivenza delle pinete del Mediterraneo.
Attacca prevalentemente piante delle specie Pinus nigra e Pinus sylvestris, ma talvolta danneggia anche Pinus halepensis, Pinus pinea, Pinus mugo e Pinus pinaster; di rado attacca Pinus strobus, ed in via del tutto eccezionale può attaccare larici e cedri.
I nidi di Thaumetopoea, dove svernano le larve, sono riconoscibili anche a distanza; sono di forma piriforme e di colore bianco brillante, localizzati soprattutto sulle cime e agli apici dei rami laterali. A partire dalla fine di autunno– inizio inverno, l’osservazione dei nidi bianchi lascia pochi dubbi sulla presenza di questo lepidottero, che allo stato larvale causa danni sulle foglie (necrosi) e sui rametti, come defogliamenti.

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Questo insetto è conosciuto anche perché nocivo per le specie a sangue caldo, uomo compreso; i danni provocati dalla penetrazione dei peli nella cute umana, possono essere modesti o assumere notevole gravità. Nella pelle, dove si infiggono le setole o i loro frammenti, insorge un molestissimo eritema papuloso, fortemente pruriginoso, che può scomparire dopo qualche giorno; mentre conseguenze più gravi, si hanno quando i peli, o frammenti di essi, giungono a contatto con l’occhio, la mucosa nasale, la bocca o peggio ancora, quando penetrano nelle vie respiratorie e digestive.

In Italia dal 1998 la lotta a questo insetto è obbligatoria nelle aree ritenute a rischio infestazione (cfr. Decreto Ministeriale 17.04.1998, poi abrogato e sostituito con D.M. 30.10.2007, pubbl. in G.U. 16 febbraio 2008, n. 40.).
Questo pericoloso lepidottero può essere combattuto utilizzando diversi metodi: innanzi tutto con trattamenti insetticidi diretti sulle larve all’aperto: il nido, infatti, neutralizza l’efficacia del trattamento. Per l’eliminazione delle larve morte, occorre comunque utilizzare la massima cautela; anche se il metodo migliore consiste certamente nel bruciarle, i residui carbonizzati risultano ugualmente urticanti, perciò è da evitare il rimanere sottovento o nelle vicinanze del falò, soprattutto con parti del corpo scoperte (compresi viso e occhi).
Altri metodi di lotta sono:

La lotta meccanica
quando si opera nelle vicinanze delle larve, è necessario coprire ogni parte del corpo (es. con guanti, maniche lunghe, occhiali, foulard sul viso) al fine di evitare il contatto coi peli urticanti ed in seguito lavare i vestiti utilizzati. I peli urticanti, infatti, sono molto fini e quindi possono essere facilmente trasportati dall’aria.
– Una prima tecnica consiste nella distruzione delle larve, tagliando le cime dei rami contenenti i nidi. Da notare che tale metodo presenta il rischio che i peli urticanti presenti nel nido e sulle larve possano cadere sull’operatore.
– Un secondo metodo consiste nell’avvolgere il fusto con del film plastico (prima della discesa delle larve, che avviene in genere dalla seconda quindicina di febbraio alla prima quindicina di marzo), su cui distribuire uniformemente della colla entomologica; quando è satura la trappola si sostituisce.
– Un altro semplice metodo consiste nel bloccare la “processione” mediante l’apposizione di una trappola a forma di imbuto sulla parte bassa del tronco[4]. La base della trappola deve essere molto aderente al tronco affinché non ci siano vie di discesa, mentre la parte alta deve essere più larga del tronco al fine di permettere l’entrata delle larve. Queste, trovando la via bloccata, si fermano per qualche tempo nella trappola e possono così essere uccise con un utensile (es. una paletta di metallo) o ancor meglio, al fine di mantenere le distanze il più possibile, spruzzando sulle larve uno specifico insetticida da comprare in un negozio per l’agricoltura. Una volta uccise, le larve possono essere seppellite al fine di evitare la diffusione dei peli urticanti.

Lotta biologica e biotecnologica
– La prima tecnica prevede l’uso di prodotti a base di Bacillus thuringiensis, ssp. kurstaki. Questa tecnica risulta difficile da attuare o molto costosa quando gli esemplari infestati sono di grandi dimensioni. Inoltre, vista la presenza di nidi sericei a protezione delle larve, non è detto che tutte vengano raggiunte dal bacillo.
– La seconda tecnica prevede, invece, l’uso di trappole sessuali (trappole a feromoni). Queste trappole rappresentano il miglior metodo di contrasto al lepidottero parassita. L’efficacia è dovuta sia alla cattura di molti maschi, che non riescono più ad uscire dalla trappola, sia al disorientamento degli stessi ad opera degli ormoni sessuali femminili della trappola. Le trappole si posizionano nei mesi di giugno e luglio, periodo di sfarfallamento degli esemplari adulti, e ogni 3-4 settimane va cambiata la pastiglia del principio attivo. Ogni 3-4 giorni va controllata la trappola per vuotare il contenitore dove vengono intrappolati gli animali.
Interessante è l’impiego della Formica rufa, uno dei pochi nemici naturali di questo lepidottero.

Interventi chimici
mediante l’uso di larvicidi e insetticidi specifici come il Diflubenzuron

Endoterapia

questo tipo di prevenzione risulta essere la migliore in quanto è la più sicura in termini di efficacia, previene la formazione e l’attacco del parassita, è un metodo sicuro per l’uomo e per gli animali e risulta essere soprattutto il più conveniente a livello economico. Di seguito riportiamo alcune foto su questa nuova ed efficacie pratica di prevenzione e disinfestazione.

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