LA MACCHIA MEDITERRANEA DEL SALENTO
Foto coperte da copyright di proprietà di Lisa Scarcia
© Riproduzione e duplicazione vietata senza autorizzazione
La vegetazione che attualmente caratterizza il territorio salentino è la macchia mediterranea, una comunità vegetale spesso di sostituzione, in pochi casi di ricostituzione, derivata il più delle volte dalla degradazione dell’originaria foresta mediterranea costituita da querce arboree d’alto fusto sempreverdi come il leccio (Quercus ilex) e da un fitto e intricato sottobosco di arbusti e liane.
I disboscamenti attuati per reperire legname e carbone, gli incendi ripetuti, le opere di dissodamento necessarie per reperire sempre più nuovi terreni coltivabili, e il pascolamento, hanno innescato nel tempo un processo di regressione tale da stravolgere la composizione e l’assetto del paesaggio vegetazionale primigenio.
Tutti questi fattori hanno comportato tra l’altro la scomparsa di specie arbustive sciafile (che non amano il sole, ndr.) tipiche del sottobosco danneggiate dall’eccessiva insolazione che non veniva più filtrata dalla coltre delle grandi chiome degli alberi; è il caso del viburno (viburnum tinus) e del citiso villoso (Cytisus villosus), specie tipiche del sottobosco delle leccete e presenti raramente nella vegetazione di macchia solo in casi eccezionali per una serie di particolari condizioni climatiche concomitanti, come i fondovalle delle gravine o dei canaloni o nel sottobosco di alcuni nuclei residuali di lecceta.
Anche altre specie come la vescica ria (Colutea arborescens), lo spinacristi (Paliurus spina – christi) e l’orniello (Fraxinus ornus) appetite dagli animali erbivori (principalmente da capre e pecore) e prima poco accessibili nell’intricato sottobosco, sono scomparse in seguito all’eccessivo pascolamento.
Non più alta di 4 – 5 metri (macchia, macchia – boscaglia), in alcuni casi intricata e impenetrabile, è costituita, ad eccezione della ginestra (Calicotome infesta) e dall’euforbia arborea (Euphorbia dendroides) che in estate perdono le foglie per limitare la perdita di acqua per evapotraspirazione, da arbusti sempre verdi (sclerofille), caratterizzati da foglie persistenti, lucide e pruinose, altro adattamento morfologico attuato per poter riflettere la luce del sole e poter fare economia di acqua. Tipici elementi da macchia sono il mirto (Myrtus communis) dalle bacche nere (badate non è il mirtillo!), il lentisco (Pistacia lentiscus) dalle rosse bacche, il corbezzolo (Arbutus unedo) dai rossi e caratteristici frutti eduli, l’olivastro (Olea europea var. sylvestris), l’alaterno (Rhamnus alaternus), i cisti a fiori rossi e bianchi (Cistus creticus, cistus salvifolius, cistus monspeliensis) e alcune tipiche liane come il caprifoglio mediterraneo (Lonicera implexa) la smilace (Smilax aspera), la rosa canina (Rosa sempervirens), l’edera (Edera helix) ecc…
In alcuni casi, le foglie si sono ulteriormente ridotte, come nel rosmarino (Rosmarinus officinalis) e nel timo (Tymus capitatus) fino a diventare quasi aghiformi come nell’erica (Erica arborea, Erica manipuliflora ecc.) e per questo vengono chiamate anche microfille.
La successiva degradazione della macchia (la maggior parte dei casi sempre a causa dell’uomo) porta alla formazione della gariga, una comunità costituita da bassi e sparsi cespugli non più alti di 30 – 50 cm e da vegetazione erbacea annuale; l’ulteriore degradazione porta alla formazione della pseudo – steppa costituita in massima parte da specie erbacee annuali (graminacee, composite, papilionacee, ecc), in molti casi habitat peculiari per la presenza di specie rare, inusuali, o in via di estinzione, appartenenti alla microflora mediterranea, come le orchidee spontanee ad esempio, che si possono incontrare anche tra la vegetazione più aperta della macchia.
Questo habitat peculiare tra l’altro (che per noi sembrano monotoni e usuali e che in estate si ricoprono di erbacce secche) sono stati individuati come “habitat di interesse comunitario, meritevoli di tutela al fine di garantire la conservazione e quella della biodiversità ad essi collegata” dalla recente Direttiva 92/43 CEE, nota come Direttiva “Habitat”.
Il processo di degradazione delle cenosi forestali verso la pseudo – steppa è detto serie vegetazionale di degradazione; inversamente quando cessa l’azione di disturbo (in situazioni non molto spinte) si ha lentamente il processo inverso detto serie in progressione. Ogni volta che in un determinato sito differenti fitocenosi (associazioni di piante) si presentano in tempi successivi si ha una successione. Nella successione , si distinguono due fasi dinamiche: una prima fase durante la quale la vegetazione passa attraverso associazioni distinte, dette anche stadi della successione (stadio pioniero, ad esempio) , e la sequenza di questi stadi prende il nome di serie (serie della lecceta, serie della vegetazione delle spiagge, ecc.), è una fase finale di massima stabilità detta climax (la lecceta, nel bacino mediterraneo) che corrisponde allo stadio di massima complessità verso il quale tendono le successioni compatibilmente con i fattori climatici ed edifici (legati alla nutrizione, ndr.).
Il climax, tra l’altro, non deve essere considerato come una singola fitocenosi (o associazione vegetale) stabile ma strutturato da un complesso di fitocenosi che si succedono in un dinamismo ciclico.
In alcuni casi, la serie di vegetazione non raggiunge la situazione climax tipica ma si ferma permanentemente ad uno stadio transitorio della successione, di sub – climax; in alcuni casi la vegetazione di macchia mediterranea che si incontra lungo le coste o sui rilievi più esposti ai venti o in generale in habitat caratterizzati da altri fattori edafici limitanti (suolo poco profondo e povero, scarsità di acqua freatica, insolazione, ecc.) corrisponde a un tipo di vegetazione di questo tipo , non deriva cioè dalla degradazione della lecceta, e in questo caso prende il nome di macchia primaria.
Una delle più belle e vaste estensioni di macchia mediterranea si possono ammirare sulle serre di Ugento e sono conosciute come “Macchie di rottacapozza”. Queste macchie prendono il nome dalla vicina masseria, che, nel 1745, era detta “Grottacapozza”, per via di una grotta presente nelle vicinanze e di un grosso teschio rinvenutovi all’interno.
La vasta copertura vegetale di silvana bellezza, che si incontra su queste ultime propaggini delle Murge salentino, offre un suggestivo scenario dove sfuma l’individualità dei singoli arbusti. Anche in questo caso, si tratta di una comunità vegetale di sostituzione derivata dalla degradazione della lecceta: ciò è dimostrato dalla presenza di giovani alberi e da un buon vivaio di nuovi esemplari di leccio nati da seme (ghiande), che stanno ricolonizzando l’habitat, costituendo così uno stadio della macchia in progressione verso uno stadio di macchia – boscaglia e che nel tempo compatibilmente con i fattori ecologici generali, edafici ed antropici (tagli ripetitivi o incendi ricorsivi – l’incendio del 25 agosto 2000 bruciò 35 ettari!), potrebbe evolvere verso la ricostituzione dello stadio finale della vegetazione climatogena: la lecceta.
L’importanza della tutela di questi ultimi lembi di vegetazione naturale dovrebbe essere avvertita da ognuno di noi, oltre che dalle amministrazioni, non solo perché costituiscono un elemento caratteristico del nostro paesaggio salentino, ma soprattutto perché costituiscono un serbatoio genetico di specie vegetali e animali altrove ormai scomparse.
Ricordo infine che la macchia mediterranea è tutelata dalla legge regionale n°30 del 1990, che vieta ogni modificazione dell’assetto del territorio nonché qualsiasi opera edilizia nei territori coperti da boschi o macchia mediterranea, anche se percorsi dal fuoco; e dalla recente legge quadro n° 353 del 2000 in materia di incidenti boschivi.